Losone,
30 settembre 2013
Burqa : le contraddizioni
delle donne socialiste
Perché non punire i mariti
che impongono il burqa alle
loro mogli
? Ecco la gran
trovata della vicepresidente
delle donne socialiste, la
consigliera nazionale Cesla
Amarelle, la quale tramite
la stampa domenicale
confederata ha annunciato
urbi et orbi la “sua”
idea, precisando
l’intenzione di creare una
norma penale che punisca chi
impone a una o più persone
di indossare un abito
specifico e in particolare
di dissimulare il volto. Lo
scopo “dissimulato” di
questa proposta sembra in
realtà essere quello di
giustificare il porto del
burqa in pubblico quando lo
stesso è indossato
volontariamente. Io queste
donne socialiste che le
inventano tutte per
garantire
la “libertà” di
indossare il burqa non le
capisco proprio. E ancor
meno le capisco quando, come
nel caso in questione, pur
di raggiungere il loro
obiettivo si contraddicono
piuttosto clamorosamente
almeno un paio di volte.
Prima contraddizione. Se la
signora Amarelle avesse
letto bene il testo del
nuovo articolo
costituzionale approvato
dai ticinesi, si
sarebbe accorta che la “sua”
idea di punire i mariti che
impongono il burqa era già
contenuta nell’articolo in
questione, che al capoverso
2 recita : “Nessuno può
obbligare una persona a
dissimulare il viso in
ragione del suo sesso”.
Ebbene, nel corso dei
dibattiti che avevano
preceduto la votazione, le
donne di sinistra che
avversavano sia il nuovo
articolo costituzionale e
sia il controprogetto
avevano sostenuto a gran
voce l’inutilità del
capoverso summenzionato,
sostenendo che nel Codice
penale federale vi è già un
articolo ( numero 181) che
punisce con la detenzione o
la multa , per il reato di
coazione, chiunque “usando
violenza o minaccia”
costringe una persona “a
fare un atto”.
Ma allora se stando
alle donne di sinistra
ticinesi c’è già una norma
penale che consente di
punire chi obbliga qualcuno
a dissimulare il volto ,
perché mai la
vicepresidente delle donne
socialiste vuole creare una
norma penale specifica ?
Vuoi vedere che il secondo
capoverso del nuovo articolo
costituzionale , non è poi
così inutile come le
avversarie del divieto
sostenevano ?
Seconda contraddizione. Nel
2010, subito dopo
l’approvazione
dell’iniziativa che vietava
la costruzione di minareti
in Svizzera, il Partito
socialista si rese conto che
le paure ed i dubbi emersi
da quel voto
andavano approfonditi
per capirne le motivazioni,
anziché
stigmatizzati. E così
elaborò una presa di
posizione di una decina di
pagine che toccava vari
aspetti problematici
dell’Islam. Fra questi vi
era pure il burqa, che,
quando indossato come
obbligo, rappresenta secondo
il PS
un “attentato
massiccio alla libertà
personale e una violazione
dei diritti dell’uomo, nella
misura in cui esso
compromette lo sviluppo
personale e l’integrazione
nella nostra società”. E se
indossato volontariamente ?
“Non fa alcuna differenza”
si legge nella presa di
posizione “perché in effetti
è difficile considerare il
burqa come qualcosa che non
sia un simbolo di
oppressione della donna”.
Non posso che condividere
queste considerazioni. Ma
allora perché adesso la
vicepresidente delle donne
socialiste, contraddicendo
quanto scritto tre anni fa
dai vertici del PS, se ne
esce con una proposta che in
realtà mira a legittimare il
porto volontario di quel “
simbolo dell’oppressione
della donna” che è il burqa
? Forse solo per non
darla vinta all’UDC, che ha
già annunciato l’intenzione
di lanciare un’iniziativa
federale per vietare in
tutta la Svizzera
la dissimulazione del
viso in pubblico ( e dunque
anche il burqa ) ?
Ad ogni modo v’è da
chiedersi a che serve
approfondire le ragioni di
un voto, per cercare di
capirne le motivazioni,
quando poi non se ne tiene
conto. La signora Amarelle &
Co non hanno ancora capito
che i ticinesi e gli
svizzeri non vogliono vedere
nel loro Paese persone che
vanno
in giro con il volto
coperto, indipendentemente
dal fatto che siano
obbligate o che lo facciano
volontariamente.
Giorgio Ghiringhelli,
promotore dell’iniziativa
antiburqa |