di Giorgio Ghiringhelli


IL MOVIMENTO POLITICO CHE NON MOLLA MAI L'OSSO
Da: Giorgio Ghiringhelli [ilguastafeste@bluewin.ch]
Inviato: mercoledì, 16. gennaio 2013 11:56
A: Redazione Ticinoline
Oggetto: risposta a Slaheddime

Meglio essere islamofobi che islamofili

 

Buongiorno,

 

ho letto la vostra intervista a Slaheddime Gasmi e, visto che sono citato, spero mi sia concessa la possibilità di rispondere.

 

Non ho difficoltà a riconoscere che il burqa è un problema che attualmente , a parte qualche caso isolato, non esiste in Ticino, ma esiste già in qualche zona della Svizzera (dove secondo le stime del Consiglio federale le donne in burqa sono un centinaio) e soprattutto in diversi Stati europei. Non per nulla in Francia (dove si calcola che le donne in burqa sono 2'000) è stato il Parlamento a decidere di varare una legge che proibisce la dissimulazione del volto in pubblico, e così pure è avvenuto in Belgio. Altre proposte del genere sono state avanzate in Italia ( da una parlamentare di origini marocchine), in Olanda e in Spagna e forse in altri Paesi . Se in vari Paesi europei esiste un problema burqa è inutile farsi illusioni : prima o poi questo problema si estenderà a tutto il Continente, compreso il Ticino. L’iniziativa antiburqa ha dunque uno scopo preventivo, onde evitare di intervenire quando i buoi sono già usciti dalla stalla. E la nostra speranza è che l’esempio del Ticino faccia scuola anche negli altri Cantoni della Svizzera, in modo da tenere alla larga dal nostro Paese una moda tribale che trasforma le donne in prigioni ambulanti e le obbliga ad auto ghettizzarsi.

 

Anziché banalizzare il problema dicendo che non esiste e anziché prendersela con chi ha lanciato l’iniziativa, il presidente della lega dei Musulmani in Ticino  avrebbe dovuto cogliere l’occasione per distanziarsi dal burqa, che oltre a non avere alcun legame con la religione è un indumento che non consente di vedere in faccia le persone e dunque crea problemi di sicurezza. Comunque posso assicurare al signor Slaheddime che i promotori dell’iniziativa non intendono fare eccezioni per le mogli dei milionari arabi che vengono in Ticino a spendere soldi. Se questi milionari arabi intenderanno ancora venire in Ticino in vacanza dovranno adattarsi alla legge, e quindi o dovranno lasciare a casa le loro mogli in burqa oppure dovranno togliere il “sarcofago” in cui le tengono rinchiuse.  Forse non tutti la pensano così, ma noi non siamo disposti a “vendere” certi principi e certi valori per un pugno di dollari.

 

Come pure posso assicurare che non ho lanciato questa iniziativa per interessi di tipo elettorale, visto che non siedo in nessun Parlamento comunale o cantonale né ho intenzione di candidarmi in futuro. Anzi, se alla fine del 2010 ho dato le dimissioni dal Consiglio comunale di Losone è stato proprio per  avere più tempo da dedicare sia all’iniziativa “antiburqa” (lanciata nella primavera del 2011) e sia in genere alla denuncia dei pericoli della colonizzazione del mondo occidentale da parte dell’Islam politico.

 

Sono d’accordo con Slaheddime sul fatto che l’islamofobia esiste. E aggiungo : per fortuna ! Per quel che mi risulta questo termine venne utilizzato inizialmente in Iran, dopo la rivoluzione islamica dell’ayatollah Khomeini (1979) , per indicare quei musulmani che rifiutavano di sottomettersi a tutti i precetti dell’Islam, e in particolare quelle donne che si rifiutavano di indossare il velo islamico ( oggi il chador è obbligatorio in Iran...). Il termine islamofobia venne poi esportato in Occidente per qualificare ogni critica rivolta all’Islam e farla apparire come una forma di razzismo, e in genere gli islamisti usano questo termine per screditare chi esprime critiche e timori verso l’Islam e per invocare nuove leggi contro la blasfemia e libertà di espressione in materia di religioni. La fobia verso l’Islam (che significa “sottomissione”) è invece semplicemente una paura più che legittima verso un’ideologia politica di tipo fascista , totalitarista e razzista che usa una religione per mirare al potere seminando odio, terrore, guerre . Lo stesso Corano in molti suo versetti è un inno alla violenza, specie contro cristiani, ebrei e atei. Magari il signor Slaheddime non legge i giornali e non vede cosa succede nel mondo ovunque arrivi l’Islam ( e non mi riferisco solo ai 20'000 attentati di matrice islamica registrati dopo l’11 settembre 2001 con centinaia di migliaia di morti e feriti). Ma gli occidentali leggono, vedono, si informano e hanno dunque tutte le ragioni per essere islamofobi anziché islamofili. E vedono anche come sono trattate le donne nel mondo islamico , e come sono trattati i cristiani e quei musulmani che vorrebbero cambiare religione.

 

Per quanto riguarda un eventuale e ipotetico divieto di indossare anche solo il semplice velo islamico, Slaheddime  fa un paragone inopportuno con il velo portato dalle suore. C’è una bella differenza. Le suore fanno parte di una congregazione religiosa e indossano per loro scelta un abito che oltre ad eliminare ogni forma di vanità  serve anche  a renderle riconoscibili come suore di una determinata congregazione. Nel mondo islamico invece molte donne, anche minorenni,  sono obbligate dallo Stato o dalla famiglia o dalla società a indossare il velo . E chi si rifiuta di farlo a volte subisce sfregi, botte o punizioni che servono da esempio per tutte le altre. Il velo è un simbolo imposto dagli uomini sia a scopi di proselitismo (per marcare visivamente l’avanzata dell’Islam e fare nuovi adepti) , sia per sottomettere le donne e sia per distinguere le donne musulmane da quelle non musulmane ( e dunque si potrebbe parlare di una forma di razzismo). Molto illuminante in proposito è il parare del Consiglio europeo della fatwa e la ricerca, presieduta da Youssef al-Qaradawi (esponente dei Fratelli musulmani molto influente in Europa). La Fatwa è un decreto che indica ai credenti ciò che è autorizzato o condannato. Per quanto riguarda l’uso del velo la Fatwa no. 6 emanata dal suddetto Consiglio recita più o meno così : “Noi dobbiamo convincere la donna musulmana che il fatto di coprirsi la testa è un obbligo religioso (...). Dio ha prescritto questa tenuta pudica e questo foulard in modo che la donna musulmana possa essere distinta dalla non musulmana e dalla non praticante. Così, con questa tenuta, ella darà l’immagine di una donna seria e onesta, che non è né una seduttrice né una tentatrice, che non fa torto né con le sue parole né con un movimento qualsiasi del suo corpo, in modo da non suscitare tentazioni fra gli uomini perversi”. E quindi appare evidente che il velo islamico non è un simbolo religioso (fra l’altro in nessun versetto del Corano si legge che le donne devono coprirsi i capelli : si tratta dunque di un’interpretazione fatta dagli uomini) ma è una sorta di espediente per tenere a freno la libido dei maschi.

 

Cordiali saluti. Giorgio Ghiringhelli