di Giorgio Ghiringhelli


IL MOVIMENTO POLITICO CHE NON MOLLA MAI L'OSSO



LE RIFLESSIONI DEL GHIRO SULL'ISLAM


Giorgio Ghiringhelli  
Via Ubrio 62
6616 Losone


Losone, 11 gennaio 2010


Onorando
Gran Consiglio
della Repubblica e Canton Ticino 


Petizione

(Costituzione cantonale art. 8 lett. L : “sono garantiti il diritto di petizione alle autorità e di ottenere risposta entro un termine ragionevole”) 
 

Divieto di indossare il velo o foulard islamico nelle scuole   obbligatorie   elementari e medie [Art.  2 lett. d della Legge sulla scuola : “la scuola promuove il principio di parità fra uomo e donna (...)”]  


Egregio signor Presidente,

gentile signore deputate, egregi signori deputati,  

con la seguente petizione chiedo al Gran Consiglio di modificare la legge sulla scuola in modo da proibire il velo islamico nelle scuole elementari e nelle scuole medie , in quanto questo indumento ostenta un proselitismo di tipo religioso che – al pari di altri indumenti o oggetti che ostentano in modo troppo visibile l’appartenenza religiosa – va vietato nella scuola. 

Nelle scuole elementari della Svizzera si vedono infatti sempre più spesso delle ragazzine costrette a portare un velo da genitori che appartengono a delle frange musulmane ultraortodosse e che considerano le classi miste come pregiudizievoli allo sviluppo dei loro bambini. Queste ragazzine sono così costrette a prender parte alle lezioni di ginnastica o di nuoto agghindate con indumenti integrali che non solo le marginalizzano per rapporto agli altri allievi, ma pure sollevano dubbi dal profilo igienico. 

Certi Comuni hanno provato a impedire che queste allieve siano obbligate a portare il velo, ma si sono scontrati con le obiezioni secondo cui, in base a una sentenza del Tribunale federale, un simile divieto lederebbe la libertà di religione. 

Orbene, questa sentenza concerneva il porto del velo da parte di un’insegnante del settore pubblico nel quadro della sua attività professionale. Nelle sue motivazioni il Tribunale federale ha però ammesso che il porto del velo, a certe condizioni, può essere limitato o anche proibito : “ il porto del velo  resta una manifestazione esteriore che non appartiene alla sfera intangibile della libertà di religione. Per questo motivo, allo stesso modo delle altre libertà costituzionali , la libertà di religione (della ricorrente) può essere limitata a condizione che la restrizione poggi su una base legale sufficiente, risponda a un interesse pubblico preponderante e rispetti il principio della proporzionalità. 
 
 

Ora, in buona sostanza, si tratta di proteggere il libero sviluppo di una bambina e la sua integrazione nella nostra società. A una simile giovane età  una bambina non è in grado di comprendere le ragioni del suo diverso modo di vestire per rapporto a quello delle sue coetanee e si sente maggiormente marginalizzata a seguito delle domande e delle osservazioni che le vengono rivolte.  Del resto il nostro ordinamento giuridico si oppone all’oppressione di un sesso da parte dell’altro, e, mantenendo la donna in uno stato di inferiorità e di sottomissione fin dalla sua infanzia, si compromette gravemente il suo sviluppo futuro e le sue possibilità di scegliere la propria religione con piena cognizione di causa. 

L’interesse pubblico esige anche che i valori fondamentali della nostra società e del nostro Stato di diritto siano protetti. La tolleranza in materia religiosa esige anche che si eviti di seminare il dubbio nella mente di bambini permettendo delle manifestazioni che possano lasciare credere, a certe comunità, che il nostro ordinamento giuridico accetti delle deroghe all’uguaglianza dei diritti e permetta la dominazione dell’uomo sulla donna incitando così certi ragazzi ad avere più tardi dei comportamenti estremi verso le loro sorelle, mogli e figlie. Infine l’ordine pubblico vuole che gli sforzi di integrazione comincino dai bambini in giovane età e permettano una migliore accettazione del nostro sistema sociale.  

In queste circostante la legge sulla scuola dovrebbe servire da base legale per impedire ogni manifestazione atta a tollerare, almeno nelle scuole elementari e nelle scuole medie , la sottomissione di un sesso da parte dell’altro per mezzo di simboli religiosi le cui motivazioni sono oggetto di discussioni filosofiche e sociologiche contradditorie. Questa misura non lede il principio della proporzionalità in quanto essa permette di garantire il diritto a una crescita e a uno sviluppo uguali per tutti.                              

      

                                             Con ogni ossequio               Giorgio Ghiringhelli         

    
 

Post Scriptum : 

La presente petizione è la traduzione più  o meno letterale , e da me pienamente condivisa, di una mozione presentata al Gran Consiglio di Friburgo dalla deputata socialista Erika Schnyder il 2 novembre 2009. L’unica modifica rispetto al testo originale concerne l’estensione del divieto anche alle scuole medie e non solo alle scuole elementari, in modo da abbracciare tutti gli ordini di scuola la cui frequenza è obbligatoria per le persone residenti nel Cantone e in età fra i 6 ed i 15 anni.

Evidentemente si potrebbe pensare di estendere il divieto anche ad altre scuole postobbligatorie (fra cui il liceo) almeno fino al raggiungimento della maggiore età  e anche oltre (Università) .  

Nel giugno del 2004 la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva respinto il ricorso di una studentessa alla quale ,all’Università di Istanbul , era stato vietato di indossare il velo islamico, e nel dicembre del 2008 la stessa Corte aveva respinto il ricorso di una studentessa musulmana di una scuola superiore francese che era stata espulsa per essersi rifiutata di  togliere il velo a una lezione di ginnastica. Al Cairo il Tribunale amministrativo del Consiglio di Stato ha dato ragione al governo egiziano che aveva deciso di vietare alle studentesse universitarie di presentarsi agli esami indossando il niqab, il velo che lascia vedere solo gli occhi (“La Regione”  del 4 gennaio 2010) . 
 

Allegati :

- Versione originale in francese della mozione di Erika Schnyder

- Stralci del Rapporto Obin

- Stralci del libro “Islamophobie ou légitime défiance?” di Mireille Vallette

Il rapporto Obin 

In merito  al problema trattato da questa petizione desidero segnalare un testo la cui lettura dovrebbe essere resa obbligatoria a tutti i docenti e a tutti i funzionari pubblici operanti nel settore dell’educazione, e dovrebbe essere caldamente consigliata a tutti i deputati in Gran consiglio, ai municipali , ai consiglieri comunali e anche ai giornalisti.  Si tratta del rapporto intitolato “Les signes et manifestations d’appartenance religieuse dans les établissements scolaires”  elaborato in Francia da un gruppo di esperti sotto l’egida del “Ministère de l’éducation National, de l’enseignement supérieur et de la recherche” . L’esplosivo rapporto di 34 pagine , consegnato nel giugno del 2004 e stranamente poco pubblicizzato, è stato redatto da Jean-Pierre Obin, ed è per l’appunto noto come “Rapporto Obin”.  Esso analizza in particolare gli effetti del crescente integralismo religioso islamico  nelle scuole e nei collegi francesi . Anche se la situazione francese non è per certi versi paragonabile a quella svizzera, dove per ora non sembra che si siano creati dei veri quartieri-ghetto, dove i fenomeni di marginalizzazione sono assai meno acuti e dove anche la provenienza degli immigrati di fede musulmana è in parte differente, va sottolineato che le tattiche di espansione e di proselitismo usate dagli integralisti islamici nelle scuole e in altri settori della società seguono dappertutto gli stessi schemi, per cui anche la Svizzera e il Ticino non sono al riparo da certi fenomeni che vanno analizzati e fronteggiati sul nascere con misure appropriate prima che sia troppo tardi. Il rapporto Obin (che può essere scaricato dal sito www.ilguastafeste.ch) giunge a conclusioni che anche i politici, i docenti, i funzionari ed il giornalisti del nostro Cantone farebbero bene e a conoscere e a prendere seriamente. Ecco ad esempio qualche stralcio di queste conclusioni : 

“(...) Certains ètablissements, objectivement parmi les plus exposés, ont su traiter avec une remarquable efficacité les tentatives dont ils ont été l’objet, en en décourageant par là même sans doute bien  d’autres (...). Ce sont également des établissements où l’on ne tolère pas l’intolérable, où l’indifférence et la pusillanimité ne sont pas de mise lorsqu’il s’agit de menaces, de violences notamment à l’encontre des plus faibles et des filles, de prosélytisme agressif, de racisme ou d’antisémitisme. Dans ces collège et ces lycées, on a compris que l’une des conditions essentielles pour que l’école retrouve un rôle majeur d’intégration est qu’elle soit intransigente vis-à-vis de tous ceux qui veulent en faire un lieu de discrimination, de ségregation (...)  Trop souvent également s’est exprimée à ce niveau une conception de l’action fondée sur l’évitement à tout prix des conflits et la crainte de leur médiatisation. Pour trop de responsables, un ètablissement  sans conflits est un établissement sans problémes. Nos observations tendent plutôt à établir la règle inverse : c’est là où l’on a transigé, où l’on a reculé, “passé des compromises” comme on l’entend dire souvent, que nous avons constaté les dérives les plus graves et les entorses les plus sensibile à la laïcité. On nous a décrit en de nombreux endroits, et nous avons nous-mêmes observé, les conséquences désastreuses pour les etablissements scolaires d’une telle stratégie de la paix et du silence à tout prix, face à des adversaires rompus à la tactique et propmts à utiliser toute les failles, tous les reculs et toutes les hésitations des pouvoirs publics, et pour lesquels un compromis devient vite un droit acquis (...) ” 
 

Ed ecco qualche stralcio delle parti del rapporto in cui si parla del regresso della condizione femminile in certi quartieri-ghetto islamici e nella scuola : 

“(...) C’est sans doute le côté le plus grave, le plus scandaleux et en même temps le plus spectaculaire de l’évolution de certains quartiers (...) Partout le contrôle morale et la surveillance des hommes sur les femmes tendent à se renforcer et à prendre des proportions obsessionelles (...) Il y à toutes ces mères qui ne viennent plus dans les écoles chercher leurs enfants, et qui sont contraintes de déléguer cette tâche à un aîné ou une voisine, car elles sont totalement recluses à leur domicile, par fois depuis des années . Alors que l’on observe de plus en plus souvent des fillettes voilées, les adolescentes font l’objet d’une surveillance rigoureuse, d’ailleurs exercée davantage par les garçons que par les parents. Un frère, même plus jeune, peut être à la fois surveillant et protecteur de ses soeurs (...) A côté des fréquentations et des comportements, le  
 

vêtement est souvent l’objet de prescriptions rigoureuses : comme le maquillage, la jupe et la robe

sont interdites, le pantalon est sombre, ample, style “jogging”, la tunique doit descendre suffisament bas pour masquer toute rondeur (...) Dans tel lycée les filles enfilent leur manteau avant d’aller au tableau afin de n’éveiller aucune concupiscence. Presque partout la mixité est dénoncée, pourchassée et les lieux mixtes comme les cinema, les centres sociaux et les équipementes sportifs sont interdits. A plusieurs reprises on nous a parlé de la recrudescence des mariages traditionnels, “forcés” ou “arrangés”, dès 14 ou 15 ans. Beaucoup de jeunes filles se plaignent de l’ordre moral imposé par le “grands frères”, peu osent parler des punitions qui les menacent ou qu’on leur inflige en cas de trasgressions et qui peuvent revêtir les formes les plus brutales, celles qui émergent par fois à l’occasion d’un fait divers. Les violences à l’encontre des filles ne sont hélas pas nouvelles, ce qui l’est davantage est qu’elles puissent être commises de plus en plus ouvertement au nom de la religion (...) L’action des municipalités et des travailleurs sociaux semble, à certain endroits, par fois ambïgue. Constatante et déplorant la disparition des filles des activités sportives et des centres sociaux, au lieu de lutter contre le recul de la mixité, il arrive q’on s’y résigne, quand on l’encourage pas en proposant des activités non mixtes ou des horaires réservés. Dès lors, il n’est pas étonnant que la pression religieuse se reporte sur le seul lieu de mixité assumée qui subsiste ancore dans ces quartiers : l’établissement scolaire (...)”.

    Nella scuola primaria  “ le comportement des élèves semble faire raramente problème. Néanmoins on signale des refus de la mixité, ceci dès l’école maternelle, de la part de petits garçons. Les cas de fillettes voilées semblent égalment se développer, de même que l’observance du jeûne et le refus de la viande non consacrée è la cantine (...) Les manifestations d’appartenance religieuse d’élèves, de parents, par fois de personnels – les exemples sont heureusement rares – peuvent marquer les principaux aspects de la vie de ces personnes au sein d’un établissement scolaire, comme la manière de se vêtir, de se nourrir et d’investir le temps. Ces manifestations sont susceptibles d’affecter sérieusement les relations et la vie scolaire, et de se traduire par des dérives préoccupantes, et par fois déstablisantes, comme le prosélytisme, le refus de la mixité et la violence à l’egard des filles (...). La trés grande majorité des établissement que nous avons visités ont connu des tentatives de manifestation vestimentaire d’appartenence à la religion musulmane. La plupart du temps de la part d’élèves filles, mais par fois aussi de garçons s’étant présentés aux portes de l’établissement en tenue dite “islamique” ou encore “afghane”. Pour le filles, la marque d’appartenence ne se borne pas au “foulard” ou au “voile” , mais peut aller jusqu’à la tenue “islamique” complète (...) On a dit plus haut combien les pressions, morales et physiques, pour le contrôle du corps  et du vêtement des jeunes filles étaient devenues, pour certains groupes religieux, un élément central de l’”ordre” qu’ils cherchent à faire régner dans certains quartiers (...). Au niveau de l’école ou du collége ces élèves et/ou leur famille sont géneralment sous l’influence de certains groupes ou organisations (...) Il n’en est pas toujours ainsi dans les lycées (...) où des jeunes filles prennent une décision personnelle à laquelle elles ont bien réfléchi, par fois en oppositions avec leurs parents (notamment lorsque ce sont converties). Elles expriment par là une forme de rébellion fréquent à cet âge (...) .Est-ce pour cette raison que la grande majorité des élèves voilées se trouve dans les lycées? Ou bien parce que ces jeunes filles disposent souvent du soutien de certains de leurs professeurs et de leurs condisciples , prompts à s’enflammer pour la “liberté individuelle” sans trop s’interroger sur la signification du signe ? Ou encore parce qu’elles sont majeures ou proches de la majorité ? (...) On peut espérer de l’application de la loi qu’elle fasse cesser cette confusion et ces rumeurs, et surtout qu’elle mette un terme aux marchandises auxquels certains se sont livrés, et qui n’ont guère contribué à faire comprendre et accepter par les populatios issues de l’immigration l’un des principes fondateurs de la République, la laïcité (...) Dans beaucoup de collèges visités, le vêtement des filles, ainsi que leurs “moeurs”, sont l’objet d’un contrôle général (...) Si la surveillance semble se relâcher un peu au niveau du lycée, c’est sans dout parce que beaucoup de jeunes filles sont parvenues à s’affranchir de la tutelle de leurs frères, ou du moins ont passé des compromis familiaux acceptables, et que d’autres ont intégré leur soumission et le manifestent notamment par le port du voile. C’est au lycée que semble se nouer le destin de ces jeunes filles, entre intégration, révolte et résignation”.  
     
      

“Islamophobie ou légitime défiance ?” di Mireille Vallette 

Il problema della condizione delle donne musulmane, specie in Svizzera, è trattato anche in un libro uscito poche settimane fa e intitolato “Islamophobie ou légitime défiance ?” scritto da Mireille Vallette, già giornalista alla Tribune de Genève e donna di sinistra membro del partito socialista e della Lega contro il razzismo e l’antisemitismo. Nel suo libro, che mette in evidenza i discorsi , i doppi discorsi di certe guide spirituali musulmane in Svizzera e dimostra le loro bugie e la loro arte di schivare l’oliva, l’autrice si sofferma soprattutto sullo sconcertante sostegno che in tutti i Paesi democratici vien dato alle frange integraliste musulmane e ai loro portavoce da parte del potere politico . Ecco ad esempio qualche stralcio del libro in riferimento all’uso del velo nelle scuole : 

    “Aujourd’hui, même des fillettes de 10 ans portent le couvre-chef à l’école. Un fait qui rend les assurances de choix encore plus douteuses (...). En Suisse, nul ne saurait dire combien de fillettes voilées fréquentent l’école obligatoire, encore moins si leur nombre est en augmentation. Surtout ne pas savoir ! le sujet est trop chaud pour qu’on s’en saisisse. Pourtant, ce qui apparaît en filigrane de déclarations à la fois rassurantes et embarrassées, c’est que toutes les autorités sont convaincues que le port du foulard est une discrimination. Mais le dire obligerait à montrer un certain courage dans la défense de l’égalité. On préfère rappeler sa “tolerance” ou son “pragmatisme”, en particulier en Suisse romande. Cette tolérance encourage-t-elle l’intégration – argument récurrent – ou au contraire l’augmentation des comportements discriminatoires ? Vouloir le vérifier, par une recherche par exemple, est impensabile, elle serait à coup sûr taxée d’islamophobe. Mais où les fillettes trouvent-elles de l’aide lorsqu’elles ont envie d’indépendance ? Qui invite leur communauté à évoluer vers nos valeurs d’égalité ? Combien se sentent déchirées entre l’amour de leur famille et le droits que garantissent nos Etats à leurs habitants ?  La Suisse autorise les élèves du secteur public à porter le foulard. A Genève par exemple, une directive édictée en 1995 par le Département de l’instruction publique (DIP) stipule que “l’école genevoise accueille et ne pratique pas l’exclusion à l’égard des jeunes filles portant un foulard islamique”. Comme si le refus du foulard entraînait ipso facto le retrait des fille de l’ecole (l’applicatione de la loi française démontre le contraire). Ou comme si le caractère obligatoire de l’école ne concernait pas la communauté musulmane. La directive reconnaît pourtant la discrimination, mais le DIP estime contribuer davantage à lutter “contre cette forme d’exclusion” en donnant une formation susceptible de développer l’autonomie des jeunes filles. L’argument renvoie une éventuelle émancipation à la seule responsabilità de la jeune fille. Sans vouloir connaître le prix qu’elle devra payer à sa famille et à sa communauté”. 

Nel suo libro Mireille Vallette riporta anche un interessante episodio che risale al 1989 e che vede coinvolto l’allora portavoce della moschea di Ginevra, Hafid Ouardiri (per inciso : lo stesso che  nelle scorse settimane ha interposto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’esito del voto popolare sui minareti). A quell’epoca una giornalista de L’Illustré aveva sentito dire che delle ragazze musulmane portavano il chador a scuola (che 10 anni prima era stato reso obbligatorio in Iran dall’ayatollah Khomeyni ) e quindi si era rivolta al responsabile della moschea ginevrina per fare un servizio sull’argomento. In realtà la giornalista aveva fatto un po’ di confusione sui termini visto che si trattava del foulard islamico e non del chador, ma a parte ciò venne organizzato un incontro nella moschea alla presenza di due ragazze che confermarono di portare il foulard a scuola e di sentirsi molto bene con quel copricapo. Al che la giornalista chiese di poterle fotografare a scuola, ciò che fece arrabbiare Hafid Ouardiri. In effetti le due ragazze non si presentarono all’appuntamento a scuola con la giornalista, la quale poi scoprì che le due ragazze non portavano mai il foulard in classe e non avevano alcuna voglia di differenziarsi dalle loro compagne. Ma allora perché quella montatura ? “A la mosquée – scrisse la giornalista nel suo servizio riferendo le giustificazioni delle due ragazze -  on nous a demandé de vous raconter cette histoire parce que Monsieur Ouardiri pense que ça peut faire un exemple et que d’autres jeunes musulmanes porteront le voile si elle lisent notre témoignage dans l’Illustré...” . Si voleva insomma con questo inganno fare pressione sulle studentesse musulmane in genere per indurle a portare il foulard a scopo evidente di proselitismo.


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